La sintesi della vicenda amministrativa e processuale che ha opposta dal 2013 al 2021 la società spagnola Puma e la società italiana Gemma Group può essere sintetizzata nella battuta che fa da titolo a questo commento. Ciò che è di grande interesse per chi si occupa di marchi è l’insieme delle pronunce che via via si sono susseguite, sino a quella, recentissima, depositata il 19 maggio 2021. 

Per inquadrare la vicenda occorre partire dal fatto che le ha dato avvio. Nell’aprile 2013  Gemma Group deposita un marchio solo figurativo rappresentante un gatto stilizzato di colore blu intento a saltare.  Nei termini arrivava l’opposizione di Puma  la quale faceva valere il proprio precedente deposito del  puma saltatore (azionava in anteriorità due marchi), affermando la confondibilità tra i due segni. Nella primavera del 2014 l’opposizione di Puma era rigettata in quanto non veniva riscontrata una interferenza tra i segni tale da impedire la registrazione di Gemma Group. Il rigetto dell’opposizione veniva impugnato da Puma ai sensi degli articoli 58 e 64 del Regolamento  207 del 2009 (non piu’ in vigore dal 30 settembre 2017 e sostituito dal Regolamento 1001 del 2017).  Nel dicembre 2014 la Camera di Appello EUIPO,  incaricata di pronunciarsi, respinse l’impugnativa Puma.  

Puma fece quindi ricorso al Tribunale di primo grado della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che annullò la decisione della Camera di Appello dell’EUIPO, accogliendo l’impugnativa di Puma. Su questa decisione si radicò l’appello dell’EUIPO. Nel giugno 2018 l’appello EUIPO venne rigettato dalla seconda sezione della Corte di giustizia, e quello di Puma accolto. La Camera di reclamo EUIPO doveva adeguatamente considerare, secondo la Corte, la notorietà del marchio Puma e ciò ai fini di una corretta valutazione dell’insieme degli  elementi necessari alla pronuncia. In particolare, la Corte ricorda che la prova della notorietà può essere data con qualunque forma e che le prove devono essere esaminate in modo rigoroso e secondo un principio di parità di trattamento e corretta gestione amministrativa, che non possono mai essere trascesi. 

Con questi presupposti la questione veniva riportata all’attenzione del tribunale, chiamato con la sua sesta sezione, a riesaminare la questione. La decisione è stata depositata in data 19 maggio 2021 e, nuovamente, la posizione di Puma non è stata considerata condivisibile. 

In primo luogo il Tribunale indica la normativa di riferimento. Infatti il tempo trascorso dalla originaria opposizione e l’avvicendarsi di modifiche nella disciplina applicabile, impone di identificare il diritto sostanziale rilevante. Il riferimento normativo è quello all’art. 8 del regolamento 207/2009, regolamento richiamato dalla stessa Puma nella propria opposizione alla registrazione del 2013.  

L’articolo in questione richiama due diverse fattispecie sulle quali può essere basata l’opposizione da parte del titolare di un marchio anteriore ad una successiva registrazione: la similitudine tra i segni e l’identità delle classi individuate; ovvero la rinomanza del marchio anteriore, la  similitudine dei segni pur in presenza di classi differenti di deposito. 

In altre parole, il Tribunale ricorda che a far data dalla decisione nella causa Vips del 22 marzo 2007, affinché possa esservi fondamento nell’opposizione basata sulla notorietà di un marchio anteriore, occorrono tre elementi concorrenti e contemporaneamente sussistenti:  l’identità o confondibilità dei marchi; la rilevanza del marchio anteriore nel suo settore; la possibilità che il marchio successivo si possa agganciare (e dunque godere) del posizionamento del marchio anteriore attraverso un meccanismo di confondibilità. L’assenza di uno di questi elementi fa venire meno la fondatezza della opposizione. 

Questi elementi secondo il Tribunale giudicante nel caso di specie non sussistono contestualmente.   

Con riguardo al confronto tra i marchio e alla valutazione della similitudine occorre esaminare i marchi nel loro complesso e l’impressione che il marchio nel suo insieme genera verso il pubblico. L’esame dei singoli elementi (eccezione fatta se esiste un elemento realmente sovrastante gli altri ) puo’ essere accantonato a favore di un esame di insieme che permette di valutare anche la memorizzazione del marchio da parte del pubblico. Nel caso di specie, pur in presenza di diversi elementi di similitudine, sussistono tuttavia  elementi di differenziazione che portano a non concludere per la sovrapponibilità tra i marchi. 

Il Tribunale considera poi il pubblico cui i prodotti  si indirizzano. Il marchio Puma è un marchio noto al grande pubblico e si indirizza a quello che si potrebbe definire un ambito massivo, ossia al grande pubblico. Il prodotto, e di conseguenza il marchio contestato da Puma, è invece un marchio destinato ad un pubblico di specialisti. In conseguenza i due marchi si indirizzano a soggetti – e potenziali fruitori – differenti e non sovrapponibili. 

Da ultimo Puma avrebbe dovuto dimostrare come il marchio successivo potesse trarre profitto dal marchio di titolarità Puma ai fini del proprio posizionamento sul mercato. Il Tribunale concorda con la divisione opposizione e con la Camera ricorso dell’Euipo che questa prova non è stata fornita. La notorietà del marchio Puma (limitata ai settori in cui opera) non vale di per sé sola a dimostrare che il marchio di cui la società italiana aveva chiesto il deposito si sarebbe agganciato al marchio Puma, sfruttandone la notorietà, e fosse il fine cui il richiedente mirava. 

Alla luce di queste valutazioni il Tribunale ritiene non fondata l’opposizione Puma. Vedremo ora se questa vicenda avrà un seguito.