La recente decisione sulla controversia tra la famosa azienda del lusso Chanel e il colosso dell’elettronica Huawei in merito alla  domanda di marchio depositata da questo ultimo presso EUIPO, ha dato lo spunto al tribunale per parlare ancora una volta del concetto di similitudine e dei canoni di valutazione. 

La vicenda dura ormai da qualche anno, per la precisione dal 2017 quando Huawei decise di  depositare un proprio marchio comunitario. Si trattava di un marchio con due ganci a forma di U che si incrociavano l’uno con l’altro. Il deposito attirò l’attenzione di Chanel, da tempo titolare del famoso marchio con le C intrecciate. Chanel presentò opposizione contro la concessione del marchio affermando una similarità fra i segni e la notorietà del proprio che, secondo la sua prospettazione, annullava i diversi ambiti merceologici e, conseguentemente, la classi cui afferivano i depositi. 

Nel novembre del 2019 la quarta Commissione dell’organismo di appello dell’Euipo respinse l’opposizione di Chanel sul principio che i due marchi non erano affatto similari. 

La decisione è stata impugnata da Chanel nel gennaio 2020 avanti la European Genel Court (EGC) e iscritta a ruolo T44/20, ottenendo però, con provvedimento del 21 aprile 2021, il rigetto del ricorso. 

I motivi di rigetto si dividono sostanzialmente in due categorie. 

Secondo l’art. 8 comma 5 del regolamento 207/ 2009 affinché vi sia similitudine fra marchi, non è necessario che nel pubblico sia percepita una probabilità di confusione fra gli stessi, ma è sufficiente che il pubblico crei un nesso, un legame fra i segni. I marchi oggetto di disputa devono essere comparati sempre e solo nella forma in cui sono stati registrati e non nella forma, eventualmente differente, in cui sono utilizzati effettivamente dagli aventi diritto sul mercato. 

Nel caso di specie, a detta della Corte sussistono alcuni elementi che possono essere accostati; il fatto di essere entrambi i segni distintivi contornati da un rotondo; il fatto di essere le lettere in grafica arrotondata; il  fatto di essere di colore nero. 

Tuttavia, la grandezza delle forme, la consistenza dei tratti, la riconducibilità del marchio oggetto della domanda di Huawei a lettere come H o U e non già ad una C come quello di Chanel, determina, a parere della Corte, una esclusione della similarità fra i marchi. D’altra parte, la Corte ricorda che sin da decisioni come Cain Cellars vs OHIM (T-304/05), il concetto base per il raffronto di similarità fra due marchi, quello richiesto e quello registrato in precedenza, è l’impressione generale, alla vista, che suscitano gli stessi. Gli elementi di differenziazione, nel caso di specie, portano ad una esclusione di similarità. 

Non di secondo piano, è anche la vicinanza dei settori merceologici e la possibilità che il pubblico leghi tra loro i due marchi; qui i settori merceologici sono sicuramente non prossimi. Questo vale ad escludere anche la maggiore tutela che viene riconosciuta ad un marchio notorio e posizionato come quelli di Chanel. 

La decisione della quarta sezione di esame Euipo, secondo la Corte, deve essere quindi confermata con la soccombenza di Chanel. 

La Corte in diversi casi ha ribaltato decisioni delle Commissioni Euipo in materia di confondibilità tra marchi. Un caso recente è quello del marchio Chiara Ferragni, in principio opposto da precedente marchio Chiara depositato in Benelux. L’Ufficio Euipo aveva accolto l’opposizione con un provvedimento poi riformato dalla Corte (causa T 647/17) che aveva escluso che i marchi fossero similari e confliggenti esaminando aspetto grafico, fonetico e complessivo “impatto” sul pubblico. 

Nel caso che ci occupa, invece, la Corte ha ritenuto corretto e condivisibile il Giudizio dell’Ufficio, fornendo alla casistica giurisprudenziale un ulteriore interessante pronunciamento.